ITINERARIO BRESCIA

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Pinacoteca Tosio Martinengo

La pinacoteca civica bresciana ebbe inizialmente sede in palazzo Tosio: il nucleo originario del museo fu infatti costituito dalle collezioni di dipinti, sculture, stampe, disegni e objects d’art che il conte Paolo Tosio legò al Comune di Brescia nel suo testamento del 1832. Nel 1851 la galleria Tosio fu aperta al pubblico rispettando l’originaria disposizione delle opere d’arte e degli arredi. Col passare degli anni, però, l’afflusso costante di nuove opere di proprietà comunale e provenienti da lasciti di altri collezionisti rese necessario l’ampliamento degli spazi espositivi. Nel 1889, in palazzo Martinengo da Barco, fu così inaugurata la Pinacoteca Comunale Martinengo, destinata ad accogliere le collezioni estranee al legato Tosio. L’amministrazione cittadina decise, in seguito, la fusione dei due musei nella sede di palazzo Martinengo da Barco: la pinacoteca, ribattezzata Tosio Martinengo, fu aperta al pubblico nel 1914.
Completamente rinnovata nel 2018, sia sul piano strutturale che su quello allestitivo, la Pinacoteca Tosio Martinengo accoglie un’accurata selezione di opere che, lungo un percorso cronologico che si dispiega tra il XIV e il XVIII secolo, espone capolavori di Raffaello, Lorenzo Lotto, Giacomo Ceruti, Antonio Canova e Francesco Hayez, con una particolare attenzione alla pittura bresciana del Rinascimento e ai suoi più celebri esponenti: Savoldo, Moretto e, ovviamente, Romanino.

Nicolò Orsini, Conte di Pitigliano / Napoleone Orsini (1508/1509)

I due affreschi provengono dalla monumentale campagna decorativa commissionata dal condottiero veneziano Nicolo Orsini, conte di Pitigliano, per il suo castello di Ghedi, nel bresciano. Il recente restauro del 2014 ha messo nuovamente in luce la qualità pittorica e la freschezza di tratto propri del giovane Romanino, in un periodo di profonda fascinazione nei confronti di artisti quali Giorgione, Tiziano e Bramantino.

San Girolamo penitente (1516/1517)

Ricondotto dagli studiosi alla fase giovanile dell’artista, San Gerolamo siede entro un luminoso paesaggio naturale, in atto di adorazione della croce e pronto a battersi il petto con una pietra in segno penitenza. La ricchezza cromatica rivela l’aggiornamento di Romanino rispetto agli esiti pittorici di Tiziano, mentre la quinta rocciosa e la vivace descrizione botanica sono frutto di una personale sintesi compiuta da Romanino tra la lezione leonardesca, il naturalismo giorgionesco e gli influssi transalpini di stampo düreriano.

Ritratto di gentiluomo (1545)

La tela raffigura un gentiluomo di tre quarti, vestito con un farsetto nero coperto da una giubba a bande. Sottile ma profonda è la resa psicologica dell’uomo, connotato da un’espressione assorta e solcata da una sfumatura di malinconia. La critica più recente ha fissato la cronologia del ritratto agli anni quaranta del Cinquecento, una fase in cui Romanino, lasciatosi alle spalle l’impeto anticlassico del decennio precedente, predilige una pittura più sobria e composta, ma tutt’altro che priva di profondità introspettiva.

Leggio (Fra Raffaele da Brescia con tarsie su disegno di Romanino, 1529/1521)

Il leggio dell’abbazia benedettina olivetana di San Nicola a Rodengo Saiano fu intagliato e intarsiato dal frate Raffaele Marone, noto come Raffaele da Brescia. A Romanino sono riferiti i disegni preparatori delle tarsie superiori del leggio, raffiguranti dei Monaci cantori e due gentiluomini e un Monaco converso che mostra un libro a quattro gentiluomini.

Cena in Emmaus (affresco riportato su tela, 1532/1533)

La Cena in Emmaus e la Cena in casa di Simon fariseo furono strappate nel 1864 dal refettorio della foresteria dell’abbazia olivetana di San Nicola a Rodengo Saiano. I due episodi sono ambientati entro le campate di un portico, concepito come dilatazione dello spazio reale, mentre la solida alternanza delle zone di luce e di ombra conferisce profondità alle architetture. Le raffigurazioni di Gesù che accoglie la Maddalena prostrata in gesto di pentimento e della rivelazione offerta attraverso la divisione del pane ai discepoli in Emmaus veicolano i temi dell’accoglienza e dell’ospitalità, in stretto con l’ambiente che le ospitava. Le soluzioni luministiche e illusionistiche, così come la monumentalità delle figure, la teatralità d’insieme e il carattere popolare, quasi plebeo, dei personaggi, sono rintracciabili anche nell’impresa di Romanino nel Castello del Buonconsiglio di Trento, impresa che inaugura la fase più apertamente “anticlassica” del pittore. I due cicli condividono, inoltre, la particolare tecnica esecutiva a tratteggio e la rapidità di condotta, con pennellate ampie e vibranti.

Cena in casa di Simon fariseo (affresco riportato su tela, 1532/1533)

Natività (1545)

La grande pala ornava una cappella laterale della chiesa di San Giuseppe a Brescia, dedicata all’Immacolata Concezione. Questo tema influì profondamente sull’elaborazione del dipinto, nel quale si distingue – vero protagonista della tela – il bianco perla del manto della Vergine, allusivo della purezza di Maria. La scelta di ambientare la Natività al crepuscolo rimanda alla tradizione iconografica del “presepe di notte”, di larga fortuna soprattutto nella pittura fiamminga.

Pala di San Domenico: incoronazione della Vergine e San Domenico tra i Santi (1545/1548)

La monumentale pala, un tempo sull’altare maggiore della perduta chiesa di San Domenico a Brescia, è rappresentativa degli approdi stilistici di Romanino maturo. L’artista sperimenta raffinati effetti luminosi, ravvisabili nei riflessi metallici delle vesti e delle armature dei santi patroni di Brescia, Faustino e Giovita, inginocchiati in primo piano. L’assetto compositivo è rigoroso e didascalico, benché movimentato dall’avanzamento e arretramento dei santi attorno a San Domenico e dall’animazione espressiva delle figure, in dialogo mediante penetranti giochi di sguardi.

Cristo portacroce (1545)

La composizione del dipinto è ordita come un sistema di variazioni sul tema del cerchio, definito dal giro delle braccia intorno alla croce, dall’aureola e dal profilo dell’oculo. Appartiene con evidenza alla fase matura di Romanino, segnata da una forte fascinazione per la resa di tessuti dalle tinte metalliche e per i riverberi luminosi da essi generati, in continuità con quanto stava sperimentando Savoldo a Venezia.

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Madonna in trono col Bambino e Santi (1512 ca.)

E’ il 1510 circa quando Girolamo Romanino arriva per la prima volta sul lago d’Iseo. E’ probabilmente la famiglia Fenaroli di Tavernola Bergamasca, ad incaricarlo della decorazione di parte della chiesa di San Pietro.
Gli affreschi sono opere giovanili del grande pittore che qui dipinge sulla parete sinistra del presbiterio la Madonna in trono col Bambino tra i santi Giorgio, Maurizio, Pietro e Paolo che presentano gli offerenti. Nonostante la giovane età l’artista dimostra di aver raggiunto già un livello di eccellenza nell’arte dell’affresco. La perfezione prospettica dei fondali simula un’antica architettura, la vivacità e varietà dei colori, l’espressività dei volti fanno di quest’opera un vero e proprio capolavoro. L’intensità dei profili e il silenzio che avvolge la scena sembrano collegare l’affresco al clima tragico di quegli anni.
La straordinaria capacità di Romanino di guardare dentro il cuore degli uomini per coglierne la realtà, la si ritrova anche nelle “Tre teste”, abbozzate sulla parete della controfacciata. E’ probabile che i tre volti (un monaco, una donna ed un uomo) siano il frammento di una scena più ampia, forse la crocifissione, lasciata incompiuta dall’artista.
L’opera di Tavernola, uno dei primi capolavori di romanino, già mostra le eccezionali doti artistiche del grande pittore rinascimentale.

Madonna col Bambino e san Giovannino, Gesù con la Smaritana, Mensole con piatti,(1532-1533 circa)

All’interno del refettorio della foresteria, spazio destinato all’accoglienza degli ospiti e dei visitatori, Romanino realizza nel 1530 un ciclo di affreschi connesso alla sacralità del pranzo. Nella sala sono ancora visibili, in una lunetta, la Madonna col Bambino e San Giovannino e, all’interno di due nicchie ricavate nella parete settentrionale, Gesù e la Samaritana al pozzo e sulla destra una dispensa con piatti e vasellame, rara natura morta dell’artista bresciano.

La Madonna nella lunetta è raffigurata mentre guarda verso san Giovannino, che ha al suo fianco l’agnello che annuncia il sacrificio del Redentore. In basso a sinistra, la scena di Gesù al pozzo con la Samaritana, tema legato al motivo della carità e del ristoro, e a destra il trompe l’oeil di un’elegante piattaia. Tracce di altri affreschi si intravedono sulla parete di fronte, furono staccati nel 1864 e sono oggi visibili nella Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia. La cena in Emmaus e la cena in casa di Simon Fariseo. Raffigurazioni scelte, anche in questo caso, per celebrare il tema dell’ospitalità

Il nome del Romanino si lega all’Abbazia anche per un altro importante intervento, egli infatti è anche autore dei cartoni che sono stati utilizzati da fra Raffaele da Brescia per la realizzazione dei pannelli del grande leggio corale che si trova esposto presso la pinacoteca Tosio Martinengo nelle immediate vicinanze dei due grandi affreschi provenienti dalla foresteria.

Oratorio San Rocco

Il ciclo si estende a tutta altezza su tre pareti, sulle quali si ripete la raffigurazione di alcune figure maschili immerse in fondali paesaggistici delimitati da pilastri a finti marmi e da una trabeazione superiore con fregi a grottesche. Sulla parete a sud/est, quella meglio conservata, sono raffigurati San Rocco, San Sebastiano e un terzo martire identificato come San Pantaleone, inquadrati da finte architetture e alle loro spalle è dipinta quella che sembrerebbe essere Monte Isola circondata dal lago e dalle tipiche barche. San Sebastiano è legato a un albero e trafitto da una freccia, San Rocco impugna il bastone dei pellegrini, e San Pantaleone, medico che esercitava la professione senza chiedere compenso. Sulla parete di destra una figura maschile in piedi posizionata sulla soglia di un edificio. Sulla parete di sinistra è visibile San Rocco, verosimilmente in posa genuflessa, sul limitare di un bosco.

Resurrezione

La pala raffigurante la Resurrezione di Cristo di Gerolamo Romanino (Brescia circa 1484/1487-1560) è senza dubbio il dipinto più prezioso custodito nella terra di Capriolo. La tavola lignea, realizzata intorno al 1526, è stata eseguita espressamente per la chiesa di s. Giorgio e fin dall’inizio orna l’altare del Santissimo Sacramento. Nel quadro di Romanino vediamo, sullo sfondo di un’alba di fuoco, Gesù Cristo risorgente dal sepolcro. Testa leggermente piegata, mano destra alzata in atto benedicente e sinistra a reggere il vessillo. Ai suoi piedi ci sono quattro soldati in armature e cappelli piumati, due dei quali preda di un sonno profondo. Romanino infatti, forse per la prima volta nel panorama artistico bresciano del ‘500, ci presenta una realtà come non si era mai vista prima, una realtà ben lontana da quella a cui certa pittura – aulicissima certamente – ci aveva abituato. E tutto questo lo fa col modo che più gli appartiene e cioè in maniera schietta, selvatica, popolare o per dirla con le parole di un grande storico dell’arte: “dialettale”. Vediamo così che il nostro Cristo “di provincia” non è più apollineo e trionfante come ad esempio nello scomparto centrale del Polittico Averoldi di Tiziano (riferimento immediato per la pala capriolese) bensì pare più un ragazzotto rubato a qualche lavoro nei campi e non troppo desideroso di librarsi in cielo: un occhio è ancora mezzo chiuso dal sonno e i piedi (almeno il destro) son ben piantati sul sepolcro! Lo stendardo che regge non si gonfia trionfalmente nel vento per la gloria di Dio ma pare più un umile panno di casa, moscio e ben attaccato al suo bastone. Così pure gli armigeri al suolo, specie di “armata Brancaleone”, sembrano perdere qualsiasi sfarzo con quelle bocche aperte dal tanto ronfare e i ceffi grotteschi vicini a certa pittura nordica. E che dire poi degli effetti luministici e dei contrasti meravigliosi che attraversano la pala! A partire dall’alba infuocata che squarcia le tenebre sullo sfondo, fino alla densità materica del corpo del Signore o alla luce bianca (alternata alle ombre scure delle pieghe) che bagna lo stendardo o a quella che si riflette sulla corazza del soldato di spalle in primo piano.

Un vero e proprio capolavoro insomma nel quale Romanino ci presenta un nuovo modo di intendere la realtà: certamente meno solenne ma al tempo stesso più vera e concreta; una realtà dove alla bellezza si sostituisce la verità per quanto essa possa essere rude, pungente, tormentata.

Storie di Daniele (1536/37)

Le pareti del presbiterio conservano i capolavori pittorici del Romanino, che risalgono al 1535. L’intero ciclo riconduce agli episodi del libro biblico del profeta Daniele.

Sulla parete di fondo, ai lati della grande pala di Calisto Piazza del 1527 raffigurante la Madonna in trono con Bambino tra i SS. Sebastiano, Rocco, Antonio abate e Siro, è raffigurato un loggiato con vari personaggi.  L’impostazione è simile su tutte le pareti del presbiterio, con le scene sacre nella parte inferiore e le architetture in cui sono collocati i personaggi che guardano la scena, nella parte superiore; al centro invece la scena principale. I personaggi che osservano le vicende hanno volti reali, volti cui Romanino riesce a dare estrema drammaticità grazie alle sue pennellate. Li vediamo commentare e osservare, oltre alla scena, anche lo spettatore invitandolo ad entrare nella scena stessa.

Scene della vita della Vergine (1541 ca.)

A Bienno, nella chiesa di Santa Maria Annunciata, è presente uno dei più noti cicli pittorici di Romanino, l’ultimo lavoro in Valle Camonica, dopo Pisogne e Breno. Qui l’artista bresciano affresca le pareti del presbiterio intorno al 1540 con scene della vita della Vergine. Sulla parete di destra la scena dello Sposalizio della vergine e su quella di sinistra la Presentazione di Maria al tempio.  Anche in quest’opera di Romanino i volti presenti nella scena hanno un aspetto “paesano”, come se tutti i cittadini di Bienno fossero presenti al rito nuziale.
Nella scena della “Presentazione di Maria al Tempio”. Al centro della loggia, in alto, il Sommo Sacerdote che attende la piccola Maria. Anna e Gioacchino, ai lati della balaustra. Sparsi nella scena diversi animali: il coniglio tenuto da un bimbo, una tortora, un cagnolino e un vitello.

Affreschi in santa maria della neve

Il lavoro che Romanino svolge a Pisogne tra il 1532 e il 1534 dà inizio alla fase camuna dell’artista, che lo porterà successivamente anche a Breno e a Bienno. Un grande ciclo di affreschi di imponente teatralità, sul tema della Passione, decora la Chiesa di Santa Maria della Neve. Battezzata come “La Cappella Sistina dei Poveri”, la chiesa di Pisogne è considerata uno dei punti più alti della poetica di Romanino.

La volta, l’arco santo, le pareti laterali e la controfacciata sono un tripudio di volti e corpi spesso grotteschi, ispirati alla gente del posto. Sono andati invece perduti gli affreschi quattrocenteschi, pertanto non attribuibili a Romanino, che ricoprivano l’abside, e quelli sulle pareti esterne. Di questi rimangono solo due scene, staccate, riguardanti l’Adorazione dei Magi, conservate nell’abside.

La parete sinistra rappresenta i drammatici momenti della Passione, mentre su quella di destra, nella vela della prima campata, si trovano sequenze della Resurrezione. Tutti gli episodi raffigurati fanno da corollario al tema, grandiosamente espresso sulla controfacciata, della Crocifissione. Nelle vele delle tre crociere vi sono 24 figure, estremamente “michelangiolesche”, di profeti, re, patriarchi e sibille. Otto veggenti decorano i due archi che separano le tre campate. Sull’arco santo si ammirano il Padre Eterno e l’Annunciazione, con l’Arcangelo Gabriele a sinistra e la Vergine a destra; in basso, la Discesa dello Spirito Santo e la Deposizione al Sepolcro. Sulle pareti i momenti principali della Passione, Morte e Resurrezione di Cristo.

L’affresco della controfacciata è il culmine dell’intero ciclo; la grande e drammatica Crocifissione. Una scena concitata e piena di violenza, una narrazione molto distante dalle forme idealizzate del classicismo rinascimentale da cui Romanino si allontana sempre più entrando in contatto con luoghi, persone e una spiritualità più semplice e popolana.

Al centro la figura del Cristo crocifisso e ai suoi piedi una Maddalena dalle braccia e dal volto di contadina ad abbracciare disperatamente la croce. Ai lati della croce di Cristo le figure dei due ladroni, mentre sotto le croci la scena è colma di figure varie e scomposte.